HIKIKOMORI, quando la gabbia è chiusa dall’interno

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Hikikomori è un termine giapponese che significa “stare in disparte” e si riferisce a quei giovani, principalmente tra i 14 e i 30 anni, che si ritirano gradualmente dalla vita sociale fino ad autoconfinarsi nella propria camera da letto per mesi o anni, interrompendo ogni contatto diretto con il mondo esterno.

Caratteristiche

Si tratta frequentemente di ragazzi maschi con un’elevata intelligenza e sensibilità, introversi e introspettivi, che percepiscono la società come minacciosa, che temono le sollecitazioni competitive, le pressioni di realizzazione personale e di non saper gestire in maniera adeguata ed efficace le relazioni, il confronto sociale, i fallimenti, le difficoltà della vita, le frustrazioni ed il carico emotivo che ne scaturiscono. La reclusione volontaria può essere letta anche come una forma implicita di ribellione e di fuga nei confronti di una società che tende a catalogare ed emettere arbitrari giudizi di valore.
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Il mondo esterno è
come un esteso campo minato
che va attraversato senza protezioni adatte,
con la certezza allarmante
che prima o poi
si salterà su una mina.
Per questo motivo l’esilio volontario è funzionale e rassicurante: la camera da letto costituisce una zona franca, una trincea protetta e controllabile.

Lo stile di vita di questi ragazzi può essere caratterizzato da un’inversione dei ritmi circadiani (sonno-veglia). Possono trascorrere molto tempo su internet, a chattare, a giocare ai videogames, a guardare la televisione, a leggere libri e fumetti, ad ascoltare musica, a girovagare per la stanza.
L’auto-esclusione è progressiva: può iniziare con qualche assenza da scuola, proseguire con un graduale allontanamento da ogni dimensione sociale fino ad arrivare all’isolamento completo, con mancanza di socialità diretta e di intimità emotiva e fisica.
In un primo momento il ragazzo vive il confinamento come una scelta consapevole ed un rifugio temporaneo dalle aggressioni e minacce percepite, ma con il tempo si rende conto di avere costruito una gabbia da cui non riesce più ad uscire.
Uno degli effetti collaterali è che, mentre il mondo va avanti, il processo che porta ad un pieno riconoscimento di sé e all’autodeterminazione è rallentato, discontinuo e frammentario, e la realtà esterna appare sempre più estranea, complessa, dura e critica.

L’isolamento è la conseguenza di un abuso tecnologico?

Spesso si associa o si confonde questo fenomeno con il disturbo da dipendenza da internet, ma non lo è[1]: nonostante la vita virtuale possa sostituire in pieno il reale, l’immersione nel web costituisce un facilitatore di processo ed è conseguenza dell’autoreclusione.

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Il ragazzo non si ritira in una stanza
perché sta troppo su Internet,
ma si ritira nel web
perché sta sempre in una stanza.

Internet rappresenta una finestra sul mondo che consente:
– di interagirvi senza subirlo;
– di evitare l’isolamento totale;
– di allenarsi nelle relazioni;
– di trovare un senso di appartenenza, di accettazione e di conforto;
– di sentirsi adeguato e adattato (alcuni ragazzi lavorano online);
– di rimanere cognitivamente impegnato;
– di vivere esperienze gratificanti;
– di costruire e definire nuovi e diversi modi di essere.
La vita virtuale permette di fare esperienze e di sperimentarsi senza correre rischi, in una forma controllata e prevedibile in cui è il ragazzo a delineare i confini, a determinare modi e tempi.

Aiutare i ragazzi Hikikomori

In un’ottica preventiva è necessario formare professionisti della salute ed educatori su questa tematica e creare una rete tra le diverse agenzie educative e con le istituzioni.
La scuola deve monitorare e segnalare la comparsa di eventuali campanelli di allarme, per intervenire prima che il problema si strutturi rigidamente. I ragazzi devono ottenere un supporto e l’accompagnamento costante da parte dei propri docenti, per sentirsi più sicuri e competenti nel fronteggiare le sfide del quotidiano.
La società deve offrire contesti aggregativi educativi che siano in grado di trasmettere una sensazione di familiarità e di protezione mentre nutrono passioni e interessi del ragazzo e lo aiutano nella costruzione dell’identità e nella ricerca di un senso.

La presa in carico di un ragazzo che si è ritirato socialmente è complessa e delicata. Il focus non è unicamente su di lui, la situazione va osservata in un’ottica sistemica per costruire un intervento che vada ad agire su tutti quei fattori sociali, scolastici, famigliari e individuali che favoriscono e mantengono la condizione di isolamento.

La richiesta di aiuto arriva frequentemente da un familiare spaventato ed impreparato, quando il problema è già molto evidente e consolidato.
Alcuni Hikikomori esternano un’apparente adeguatezza e vogliono essere lasciati in pace dai genitori che invece richiedono loro uno stile di vita diverso, simile a quello dei coetanei. Accettare di essere aiutato non esprime sempre una reale motivazione al cambiamento, il ragazzo può infatti acconsentire a rivolgersi ad un professionista per ridurre queste pressioni familiari.
Se il ragazzo non abbandona la sua barricata, è lo psicologo a lasciare il proprio studio per accostarsi a quel mondo inserito in quattro mura.
La camera non va violata né la porta forzata e valicata, ma l’avvicinamento consiste in piccoli passi volti a costruire una relazione di fiducia. Ci si mette in ascolto dietro la porta di quella gabbia chiusa dall’interno.
Inizialmente è il ragazzo a dettare i tempi.
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Il professionista deve far sentire al giovane di comprendere
il suo punto di vista,
i suoi vissuti,
il suo disagio e
la sua scelta,
di conoscere il suo mondo e
i suoi simboli.
Si entra in punta di piedi e
ci si lascia condurre e trasportare
all’interno di quel mondo,
si diventa suoi abitanti.

Poi, sempre con un atteggiamento di pazienza e di gentilezza, si assume il ruolo di guida e si inseriscono delle deviazioni e violazioni minime alla routine affinché il ragazzo viva delle piccole esperienze emozionali correttive[2] e positive in grado di modificare percezioni, credenze e pensieri e di generare quella sicurezza e quel benessere che gli permettano di reintegrarsi nella società.

Se desideri ricevere dettagliate informazioni su questo argomento, consulta la pagina Hikikomori Italia

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[1] Il fenomeno Hikikomori si diffonde in Giappone negli anni ’80, prima dell’avvento dell’era di internet.
[2] Attraverso esperienze emotive concrete la persona modifica la propria visione della realtà.

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2 pensieri su “HIKIKOMORI, quando la gabbia è chiusa dall’interno

  1. Penso sia più diffusa di come si creda,la famiglia come può essere d’aiuto pur vivendo a distanza di parecchi chilometri ?

    1. Buongiorno Santina, sono d’accordo con lei, si tratta di un fenomeno diffuso, pur con diverse sfumature. Mi risulta difficile offrirle dei consigli generali: trattandosi di situazioni complesse e delicate, qualsiasi intervento va calzato e adattato al singolo caso. Le consiglio di contattare l’associazione Hikikomori Italia (https://www.hikikomoriitalia.it/), che ha sviluppato un’area specifica per familiari, con la possibilità di incontri e l’accesso a risorse specifiche. Vi auguro serenità.

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