Mutismo selettivo

mutismo selettivo, ansia

Non c’è rumore più assordante
del silenzio di chi vorresti sentire.Guido Rojetti

Il Mutismo Selettivo è un disturbo ansioso infantile poco noto e sottodiagnosticato.
Il DSM V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) definisce tale disordine come caratterizzato da una costante incapacità di parlare in situazioni sociali specifiche dove ci si aspetta che si parli (per esempio a scuola), nonostante il soggetto sia in grado di parlare in altre situazioni (frequentemente a casa, con i familiari e i coetanei o con pochi conoscenti).
Tale incapacità non è dovuta al fatto che il bambino non conosca o non si trovi a proprio agio con il tipo di linguaggio richiesto in quella situazione sociale. Inoltre non è meglio spiegata da un disturbo della comunicazione e non si manifesta esclusivamente durante il decorso di disturbi dello spettro autistico, schizofrenia o altri disturbi psicotici.
La diagnosi del disturbo è possibile quando l’anomalia è persistente e presente da almeno un mese e non riguarda il primo periodo di frequenza a scuola, nel quale molti bambini possono mostrarsi riluttanti a parlare.
La condizione interferisce con i risultati scolastici o lavorativi o con la comunicazione sociale.

Sebbene il problema possa esordire nella primissima infanzia, solitamente la diagnosi viene fatta tardivamente, tra i 6 e i 7 anni, quando il bambino inizia a frequentare la scuola primaria e si trova sottoposto a maggiori pressioni sociali e prestazionali. Il ritardo diagnostico è spesso condizionato anche dalla mancata identificazione del disturbo, che viene frequentemente confuso con timidezza o con un atteggiamento oppositivo provocatorio.

Le manifestazioni associate al Mutismo Selettivo possono includere eccessiva timidezza, timore di imbarazzo sociale, isolamento sociale e ritiro, eccessivo attaccamento. Il bambino può apparire particolarmente sensibile alle critiche e timoroso di essere giudicato negativamente e deriso dagli altri. In realtà desidererebbe parlare e comunicare, ma non riesce a farlo perché paralizzato da una forte ansia e paura.
Per compensare questa difficoltà comunicativa, il bambino può utilizzare il canale non verbale, ovvero gesticolare, annuire e scuotere il capo in segno di diniego, sorridere, scrivere note, spingere o tirare l’interlocutore, rimanere immobile finché l’adulto non indovina le sue richieste. Alcune volte può comunicare attraverso monosillabi, suoni monotoni o linguaggio alterato.

Quali sono le modalità comunicative e relazionali che alimentano il problema?

mutismo selettivoIl Mutismo Selettivo viene spesso mantenuto e alimentato proprio dalle tentate soluzioni messe in atto dalla rete sociale (familiari e insegnanti) che, anziché risolvere il disturbo, tendono a complicarlo:

richieste dirette e sollecitazioni continue a parlare (“Parla, ti prego!”). Più si insiste nel chiedere di parlare, più il bambino si paralizza: la richiesta di parlare spontaneamente rende infatti impossibile il manifestarsi di tale spontaneità. Siamo in presenza di un paradosso comunicativo;

ricercare le origini e le motivazioni nascoste del silenzio manifestato, chiedendo al bambino di fornire spiegazioni sul suo disagio, nella convinzione che l’individuazione delle cause possa essere d’aiuto nella risoluzione del problema;

dare immediata risposta alla richieste del bambino che giungono attraverso canali comunicativi non verbali (come gesti e ammiccamenti), completare le frasi non dette, cercare di indovinare il suo pensiero e di anticiparne le esigenze (“Hai fame?”, “Hai bisogno di un aiuto?”). Il bambino viene messo nella condizione di non aver bisogno di parlare per farsi comprendere;

– cercare di capire la natura del disturbo e di formulare una diagnosi, coinvolgendo esperti del settore (logopedisti, psichiatri, psicologi, pedagogisti)  che, lavorando direttamente con il bambino, contribuiranno a farlo sentire diverso dai suoi coetanei, che non hanno bisogno di colloqui e sedute;

aumentare le attenzioni verso il bambino, nel tentativo di colmare quelle presunte mancanze o carenze affettive che potrebbero aver originato il problema. Il bambino difficilmente abbandonerà uno schema comportamentale (il mutismo) in grado di produrre vantaggi e benefici. Ciò che inconsciamente impara è “meno parlo, più gli altri si interessano a me e mi colmano di attenzioni e di coccole”.

L’Approccio Breve Strategico ritiene che, in presenza di Mutismo selettivo, casa e scuola debbano essere le leve fondamentali del cambiamento. L’intervento prevede il coinvolgimento di genitori ed insegnanti che, in qualità di coterapeuti, lavoreranno congiuntamente per interrompere le tentate soluzioni disfunzionali che mantengono il disturbo e per capovolgere quella modalità relazionale che vede degli adulti correre dietro ad un bambino nel tentativo di farlo parlare. Attraverso l’applicazione di specifiche strategie si passerà da una condizione in cui il bambino DEVE parlare ad una in cui VUOLE e HA BISOGNO di parlare.

Autrice: dott.ssa Monica Orma

Letture consigliate

American Psychiatric Association (2014), “DSM-5 Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”, Cortina Raffaello

– Botti, M., Dacrema, E. (2014), “Educazione strategica. Rimedi strategici ad uso di genitori e insegnanti alle prese con ragazzi difficili”.

– Nardone, G. e il centro di terapia strategica (2012), “Aiutare i genitori ad aiutare i figli. Problemi e soluzioni per il ciclo della vita”, Ponte alle Grazie, Milano.

– Fiorenza, A. (2000), “Bambini e ragazzi difficili. Figli che crescono: soluzioni a problemi che emrgono. Terapia in tempi brevi”, Ponte alle Grazie, Milano.

– Fiorenza, A., Nardone, G. (1995), “L’intervento strategico nei contesti educativi. Comunicazione e problem-solving per i problemi scolastici”, Giuffrè, Milano.

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