Disturbo da ansia sociale (fobia sociale)

ansia sociale, paranoia, disturbo

Persino un paranoico può avere nemici. Henry Kissinger

Il DSM 5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) definisce il disturbo da ansia sociale (fobia sociale) come caratterizzato da paura o ansia intense e sproporzionate in una o più situazioni sociali nelle quali il soggetto si sente esposto al possibile giudizio da parte degli altri. Si può trattare di interazioni sociali, di situazioni nelle quali l’individuo può sentirsi osservato (ad esempio mentre mangia o beve) o in cui deve esibirsi pubblicamente. La persona teme di agire in un certo modo o di mostrare sintomi di ansia, come tremore delle mani, arrossire, emettere rumori dallo stomaco, che possano essere giudicati negativamente e generare rifiuto e derisione. Per questo motivo chi soffre di questo disturbo può mettere in atto condotte di evitamento o sopportare con grande disagio le situazioni sociali o prestazionali temute. La paura, l’ansia e l’evitamento causano malessere clinicamente significativo o interferiscono con il funzionamento lavorativo e sociale.

In un’ottica strategica tale disturbo viene associato ad un sistema percettivo-reattivo paranoico poiché le persone che ne soffrono si sentono costantemente giudicate o sotto osservazione da parte degli altri. In alcuni casi questa percezione paranoica è riferita a persone specifiche, come colleghi, familiari, amici, vicini di casa, mentre in altri casi vi è la convinzione di essere perseguitati o mal giudicati da tutti.

Quali strategie disfunzionali mette in atto la persona che soffre di questo problema?

disturbo da ansia sociale
Subiamo ciò che costruiamo.

La certezza di essere sotto osservazione e giudizio genera un costante senso di allerta e porta la persona a mettere in atto delle tentate soluzioni che, anziché risolvere il problema, lo aggravano, producendo un impoverimento dei rapporti interpersonali e alimentando la paura di essere rifiutati. Le strategie di soluzione disfunzionali sono:

– l’evitamento del contatto. L’evitamento si può esprimere con un’assenza di contatto, con atteggiamenti evasivi o evitando di guardare gli altri negli occhi. Si possono strutturare evitamenti molto forti, fino all’isolamento. Di fronte a questo ritiro, gli altri possono reagire con tentativi di avvicinamento – che però vengono interpretati dalla persona come violazioni della privacy -, oppure con atteggiamenti evasivi o allontanamento, confermando così la correttezza della credenza originaria secondo la quale gli altri sono giudicanti e ostili;

– la ricerca dello scontro per difendersi dal presunto aguzzino. Questo atteggiamento può produrre negli altri una reazione difensiva o aggressiva che ha l’effetto di confermare la convinzione iniziale di essere oggetto di maltrattamento. E’ proprio la difesa a costruire l’aggressore, perché difendendosi da un lato si conferma a se stessi l’esistenza di un nemico (“se mi difendo e non sono stupido un nemico ci deve essere!”), mentre dall’altro si provoca negli altri una reazione aggressiva.

rimuginare e parlare del problema per ottenere rassicurazioni e conferme, con l’effetto di alimentare il pensiero paranoico.

Riassumendo, la persona che soffre di questo disturbo si sente continuamente aggredita e, poiché il nemico è incontrollabile (le persone non si possono controllare), è convinta di combattere una battaglia che perderà, pertanto aggredisce prima di essere attaccata, oppure si arrocca o evita il conflitto, sempre in un’ottica difensiva.

La Psicoterapia Breve Strategica prevede una serie di manovre terapeutiche in grado di rompere il circolo vizioso originato dalle tentate soluzioni disfunzionali e di risolvere rapidamente il problema, anche grazie ad un’attivazione guidata delle risorse personali del paziente.

– Come vanno le paranoie?
– Perchè? Chi vuole saperlo?

Autrice: dott.ssa Monica Orma

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